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Kechek el fouqara: rivisitazione personale

Kechek el fouqara: rivisitazione personale

Eh?

Kechek el fouqara: rivisitazione personale

Per caso sono sparita dal blog per 16 mesi? Non mi pare.
In ogni caso, io sono SEMPRE presente sulla mia pagina facebook, dove pubblico immagini random degli esperimenti e della everyday life. Nelle ultime settimane, chi mi segue lo sa, ho avuto una sola fissa: la fermentazione dei cereali. Di cosa parliamo, quindi, quando diciamo kechek el fouqara? Nella pratica si tratta di bulgur fermentato, che nell’immaginario di noi poveri poverissimi vegani diventa un formaggio. Il grano, con la fermentazione, acquisisce veramente sapori e odori che ricordano i formaggi di latte animale, ma a mio parere risulta più leggero e più gradevole.

Tutto partì da Sandor Katz, che scrisse del kechek el fouqara nel suo libro The Art of Fermentation*, ripreso poi da Isabella, trendsetter nel mondo dei fermentati. Quando se ne parlò sul gruppo tempo fa non ne ero rimasta profondamente colpita, ma galeotto fu l’assaggio a casa di Isa ed eccoci qua, sommersi di palline sottolio. Arrivò, poi, la Ravanella (dalla quale potete trarne i cenni storici e approfondimenti culturali) e quindi non potevo mancare col resoconto delle mie esperienze.

Ho messo il bulgur in un vaso decisamente capiente, perché rigonfia parecchio di volume in acqua; in alternativa, dopo la reidratazione, si può dividere il cereale in due barattoli per proseguire la fermentazione.
Per circa 400g di bulgur serve un barattolo di ALMENO 2 litri di capacità.
Acqua: io ne ho messa fino a coprire il cereale di 2 cm, quindi l’ho rabboccata man mano che veniva assorbita. La Ravanella però ci insegna che va bene pure mettere parecchia acqua, per poi riutilizzarla per fare una besciamella.
Sale: io sono andata a gusto. Una volta reidratato ho assaggiato il bulgur fino ad avere una salinità marcata. Il sale aiuta non solo nel sapore ma anche nella conservazione del tutto; eviterà la formazione di muffe.
Starter: non serve, la fermentazione parte da sola nel giro di poco tempo, ma io metto un cucchiaio di aceto di kombucha.

I primi giorni sono un po’ critici per la fermentazione: bisogna mescolare spesso in modo da ossigenare tutto ed avviare l’attività dei batteri (almeno 1-2 volte al giorno). Ho avviato il processo in estate ma con una temperatura in casa di 25-26°C, posizionando i barattoli nella zona più fresca. Appena le temperature si sono alzate ho spostato il tutto in frigorifero, continuando a mescolare almeno una volta al giorno fino ad arrivare ai 10-15 giorni complessivi di fermentazione, poi sono passata ad una volta ogni due giorni.
L’aceto di kombucha mi ha aiutata a velocizzare il processo, infatti già dopo poche ore il grano aveva già cominciato a fermentare.

Ho avuto dei problemi con il lievito Kahm, non pericoloso di per sé ma substrato per la crescita di muffe; ho eliminato il lievito ed ho mescolato spesso per evitare che ricomparisse di nuovo.
Una volta che il bulgur è ben idrato e ben mescolato, si aspettano circa 3 settimane, dopodiché si scola il cereale, conservando l’acqua, e lo si strizza bene. Io ho usato l’accrocchio ciotola con scolapasta con telo di cotone (cheesecloth messo quadruplo), così da poter strizzare bene l’impasto creatosi. Bisogna ottenere una pasta modellabile, tipo la pasta al sale che andava di moda 25 anni fa. A questo punto si possono aggiungere aromi a piacere; io sono nella fase paprika affumicata+rosmarino, per cui ogni cosa che preparo ha questo sapore. In ogni caso si può tranquillamente viaggiare sulla via delle spezie e scegliere quelle che più piacciono.
Si impastano e si amalgamano le spezie per bene, poi si prosegue nella formazione di palline, o di cilindretti come ha fatto la Ravanella, per poi impilarli in un barattolo capiente e coprirli interamente di olio.

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(al primo tentativo ho colato il bulgur dopo soli 10 giorni, si notano ancora i granelli, rendendo la texture grossolana)

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(questo il secondo tentativo, dall’impasto nettamente più omogeneo)

A questo punto si può mettere il barattolo in frigo, godendosi ogni pallina come la gioia più grande mai esistita (esagero? assaggiatele, poi mi dite).

Il primo esperimento è durato 7 giorni, il sapore mi pareva già buono, per cui ho scolato (ho usato solo lo scolapasta senza strizzare il composto attraverso un telo) e fatto le palline. Il composto risultava granuloso e non del tutto modellabile per via della troppa acqua, per cui ho passato le palline in essiccatore; dopo 8 ore risultavano decisamente troppo asciutte, le ho comunque immerse nell’olio e le ho conservate a temperatura ambiente in cucina (30+ °C). Ho ottenuto quindi un formaggino croccante fuori e morbido dentro, con ancora i chicchi di bulgur ben visibili.

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(palline essiccate)

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Gli altri esperimenti sono andati molto meglio, nonostante fossi già ampiamente soddisfatta del primo.
Un tempo di fermentazione maggiore (almeno 15 giorni) permette lo sfaldamento completo del chicco, così è più facile ottenere una pasta omogenea. Passando le palline direttamente nell’olio, senza lo step dell’essiccatore, significa però che il vaso con l’olio dovrà necessariamente andare in frigorifero, altrimenti le palline continueranno a fermentare, gonfiandosi e inzuppandosi d’olio.

Riflessioni sul tempo di fermentazione: come per ogni fermentato il mantra è “assaggia e quando il sapore ti convince interrompi la fermentazione”. Anche in questo caso io procedo così; consiglio comunque di superare i 10 giorni per avere lo sfaldamento della granella, ma di non superare le 3 settimane. L’esperimento, tenuto in frigo per le calde temperature, tenuto a mollo 21 giorni si è rivelato ottimo nel sapore (bello acidino come piace a me) ma troppo umido. I risultati migliori in termini di sapore e texture li ho ottenuti con una fermentazione di 15-17 giorni, anche con temperature di 28°C in casa e fuori frigo, rimane compatto, formaggioso e con un’acidità poco marcata.

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(kechek sottolio)

Nonostante io non sia mai stata un’amante dei formaggi animali, queste palline mi mandano in paradiso. Hanno un gusto veramente complesso che ben si abbina a verdure, pizza, cereali e tartine. Visto che sono belle unte (fin troppo, ma non si può avere tutto dalla vita, è un formaggio fatto di grano santo cielo!) spesso uso solo loro come unico condimento del piatto, ovviamente dopo averle sgocciolate benissimo. Al momento sono al terzo riutilizzo dei 750 ml di olio extravergine d’oliva iniziale; una volta pronte le nuove palline le impilo in un nuovo barattolo, ponendo in superficie le eventuali palline rimaste dalla fermentazione precedente, e ci verso sopra l’olio “usato” e filtrato. Inutile dire che le briciole di kechek sul fondo sono veramente frammenti di paradiso commestibile.

Nelle prossime puntate ci saranno altri aggiornamenti su cosa succede nel mio frigorifero, nel frattempo posso godermi, dopo tantissimo tempo, un’insalata caprese.

*The Art of Fermentation che io sappia, non è ancora stato tradotto in italiano; decisamente un libro TOP, senza il quale la mia esistenza non avrebbe senso e probabilmente mi sarei intossicata più volte o avrei buttato barattoli di fermenti. E senza il quale mangerei in modo noioso.

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